Quella dei “Viali della Rimembranza” fu una delle iniziative intraprese alla fine della prima Grande Guerra a ricordo e commemorazione dei numerosissimi caduti. Entro le norme fissate dal governo nel 1922, ogni località fu libera di dare la propria interpretazione sul tema, a partire dalla scelta della strada in cui piantare gli alberi. Tra quelle non ancora denominate, come da regolamento, fu scelta la via che entrava a Lari toccando l'oratorio della Madonna della Neve (luogo tra i più cari alla devozione popolare) e il luogo detto “dei morti”, una chiudenda di olivi dov'erano sepolte le vittime della peste del 1632. Si utilizzarono quindi dei luoghi già vicini e cari alla popolazione, oltretutto per motivi non troppo dissimili.
L'idea stessa di piantare degli alberi non era del tutto nuova, dato che spesso gli uomini in partenza per il fronte piantavano degli alberi. Per costituire un legame verso il luogo che lasciavano, e dunque di buon auspicio per un ritorno, ma anche come tangibile aiuto per chi restava. Infatti, nel larigiano, ma anche altrove, spesso si piantavano gelsi, piante che anche le donne e i bambini rimasti potevano usare nell'allevamento del baco da seta, andando così a costituire un sostentamento economico in qualche modo sostitutivo delle braccia degli uomini.
Anche per la tipologia di albero da piantare a Lari si fece una scelta non troppo comune, prevista dalla vincolanti norme ministeriali, ma non frequente in queste contrade. Al posto degli svettanti cipressi, delle eroiche querce o dei gloriosi allori, furono piantati decine di tigli. Spogli d'inverno, ma ricchi di profumatissimi fiori al principio dell'estate. Piante, tra l'altro, originarie di quelle regioni in cui erano stati sepolti coloro che non avevano fatto ritorno a casa.