Dopo soli cinque mesi dall'entrata in guerra dell'Italia, nel consiglio comunale del 9 novembre 1915, il Sindaco afferma "di sentire il dovere di ricordare [...] con l'animo commosso" i nomi dei "baldi giovani caduti da forti sul campo dell'onore". Dunque, a conflitto, si può dire, appena iniziato, ecco la proposta - approvata per acclamazione - "che i nomi dei caduti per la Patria siano, quando l'aspra guerra con l'Austria sarà cessata, scolpiti su lapide di marmo". I successivi anni di conflitto non fanno che accrescere il cupo senso di angoscia per la comunità larigiana, scanditi da continui elenchi di morti, prigionieri, dei gravemente feriti, dei dispersi, in una situazione della quale non era possibile prevedere la fine. Ad ogni elenco corrispondevano annotazioni sull'eroismo "che faceva grande la Patria", sempre più generiche e fioche, e il moltiplicarsi di progetti di lapidi da apporre a guerra conclusa, non solo nel capoluogo, ma anche nelle frazioni.
Dopo il 4 novembre 1918 le iniziative per la celebrazione della vittoria coinvolsero tutta l'Italia. Lari, che poteva vantare un mesto primato per numero di caduti, non mancò di attivarsi per tempo, anche se con molte incertezze, dovute sia ad una non sanata opposizione tra interventisti e neutralisti, sia ad una gravosa situazione economica, messa a dura prova dai tre anni di guerra.
Il monumento, opera di Valmore Gemignani per la statua bronzea e del carrarese Alessandro Lazzarini per la tabella marmorea, fu così inaugurato solo il 20 settembre 1923, pochi mesi dopo il Viale della Rimembranza, altra opera a ricordo dei caduti, forse più vicina e sentita dalla popolazione, a giudicare dalla genesi molto meno travagliata.
La parte per certi aspetti più singolare del monumento è rappresentata dai due bassorilievi che collegano la lunga lista dei nomi dei caduti alla statua del milite, ma che allo stesso tempo la separano, con il forte riferimento alla dimensione civile, quella del lavoro agricolo, da sempre immagine di pace. Tanto più in questo caso, dov'è rappresentata la vita nei campi nei correlati settori del lavoro maschile (l'aratura) e femminile (la mietitura).
Per la figura del protagonista, probabilmente imposta all'artista, quella del soldato in uniforme, rischiava di entrare a far parte della routine di queste figure, anonime ed inespressive, come molte di quelle che popolano il territorio pisano e non solo. Il Gemignani, scegliendo di raffigurare il milite in attesa o in riposo, trova invece un registro più affabile e domestico, evitando spericolati virtuosismi formali, che spesso sfociano in improbabili posture acrobatiche e plastiche. Le numerose citazioni da modelli classici, oltre alla sapienza di un artista affermato, fanno di questo monumento uno degli episodi più densi e risolti dell'intera serie di tributi ai caduti di tutta la provincia (e non solo). La manica destra mostra ancora il foro di un proiettile, sparato da un soldato tedesco alla fine della seconda guerra mondiale, segno di un probabile accanimento, più che verso il vincitore di una guerra lontana, verso un comune destino: quello della "meglio gioventù che va sottoterra" (come recitava un verso del canto alpino "sul ponte di Bassano").