Il primo ed unico censimento nominativo toscano, rigorosamente a base parrocchiale, effettuato nel 1841, nell'occasione della benedizione pasquale delle case abitate, rappresenta una fonte dell'Archivio di Stato di Firenze (conservata nel fondo Stato Civile Toscano) poco utilizzata negli studi e quindi quasi ignoto ai cittadini.
Il censimento - dettato da esigenze amministrative (come l'arruolamento militare e la riscossione della tassa di famiglia) - risulta assai dettagliato; di conseguenza, ci appare, oggi, come un documento di basilare importanza per conoscere i cognomi e i ceppi familiari e per definire i caratteri della realtà demografica, socio-economica e culturale, di tutti i comuni toscani e di tutte le unità territoriali di base (appunto le parrocchie) che li costituiscono. E ciò, nonostante difetti quali la generica indicazione della professione che non consente di distinguere i lavoratori dipendenti da quelli in proprio, i proprietari di terreni da quelli di soli fabbricati, ecc.
Il rilevamento fu ordinato il 12 novembre 1840 e realizzato nell'aprile (ma con verifiche ed integrazioni fino al settembre) 1841: famiglia per famiglia, per ogni individuo sono stati indicati il numero della casa in cui abita (purtroppo, solo raramente anche la denominazione del luogo di residenza, fosse una via urbana o paesana o una località rurale), il nome e cognome, il sesso, l'età, lo stato civile, il grado di parentela con il capofamiglia, la professione, il grado di istruzione, la religione (per gli acattolici), il luogo di nascita (per gli stranieri), lo stato di indigenza ed eventuali altre osservazioni a discrezione del parroco: generalmente sui rapporti di parentela all’interno delle famiglie, sui coniugi separati, talora anche sull'attività lavorativa o sulla situazione economica o sanitaria.
Riguardo all'assetto economico-professionale degli abitanti, nonostante il limite di fondo delle fonti statistiche incentrate sulle parrocchie quali gli stati d’anime - alle quali è assimilabile il censimento del 1841 -, è comunque possibile desumere conoscenze importanti che riguardano la struttura demografica (l’incidenza delle classi di età produttiva, generalmente alta, come quella relativa al rapporto di mascolinità e di celibato) e la struttura sociale (quale l'incidenza della popolazione non attiva, generalmente piuttosto ridotta insieme con quella riguardante il livello di istruzione, e l'ampiezza decisamente elevata del nucleo familiare): tutte caratteristiche che, nella Toscana del piano-colle, e quindi nelle Colline Pisane e a Lari, appaiono da tanti secoli sicuramente influenzate dal sistema poderale mezzadrile, vero e proprio strumento di ferreo controllo sociale; uno strumento in grado di interferire pesantemente anche nella vita privata del singolo perché non fosse variato il rapporto equilibrato esistente tra azienda poderale e numero e qualità (in termini di bocche e di braccia, ovvero di reali esigenze nutrizionali e capacità di lavoro) delle famiglie dei coltivatori.
E ancora. A grandi linee è possibile desumere la specificità delle strutture demografiche e socio-professionali dei centri abitati - non solo Lari ma anche altri più piccoli - e delle campagne ad insediamento del tutto disperso, oltre che le analogie e differenze tra l'insieme di una comunità in rapporto ad altre, pur all'interno di una subregione improntata dalla stessa organizzazione territoriale come è il caso della campagna delle Colline Pisane e del Valdarno di Sotto di natura collinare-valliva. Evidentemente, anche la posizione geografica in rapporto principalmente a Firenze o a Pisa e Livorno, ma anche ai centri minori sedi di mercato e ovviamente alle principali vie di comunicazione viarie e idroviarie vale a far sì che la condizione della comunità di Lari e di quelle circostanti non appaia sempre identica, specialmente riguardo alla presenza e al peso sia delle attività industriali-artigianali (seppure in larga misura praticate a domicilio) e sia di quelle commerciali nei vari rami merceologici.
È vero comunque che, nel corso del XIX, tutte le comunità delle Colline Pisane e del Valdarno di Sotto furono interessate dalla crescita demografica. Ma è da sottolineare il fatto che l’incremento fu assai inferiore rispetto a quello determinato dal saldo naturale (differenza fra nati vivi e morti), ad eloquente dimostrazione che il movimento sociale (differenza fra immigrati ed emigrati) già allora fu ampiamente negativo, e che una quota non trascurabile di rurali fu costretta ad emigrare (probabilmente verso i centri lungo l'Arno e a Pisa o a Livorno, in seppure piccola espansione già prima dell'Unità, a decorrere dalla Restaurazione), alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro nei settori extra-agricoli, per quanto l'esodo si irrobustisse soprattutto nella seconda metà del XIX secolo e successivamente.
Riguardo al trend demografico dei tempi moderni e contemporanei, basti dire che: rispetto ai 2207 abitanti del 1551, la popolazione di Lari si era accresciuta a 3970 nel 1745, comprendendo anche Casciana e Bagno a Acqua e, ovviamente, le altre parrocchie storiche (Cevoli, Colle Montanino, Sant'Ermo, Parlascio e Ceppato, Perignano, San Ruffino e Usigliano).
Data l'assenza di fenomeni migratori di una qualche consistenza e dato il bilancio naturale sempre positivo (i nati erano assai più dei morti), la crescita demografica fu comunque costante e ragguardevole nel corso del XIX secolo, tanto che la popolazione raddoppiò, anche per effetto delle riforme economiche (liberismo commerciale e imprenditoriale, vendita e allivellazione di terre agrarie) e dei lavori pubblici infrastrutturali (costruzione di strade rotabili e poi di ferrovie) effettuati dai governi lorenesi.
Togliendo la popolazione di quella parte che nel 1927 sarebbe divenuta Comune di Casciana Terme, vediamo che nel 1810 la popolazione era salita a 4187 anime, nel 1830 a 5247 e nel 1850 a 6436. Dopo la crisi degli anni '50 - funestati dal colera con altissima mortalità - la crescita riprese, tanto che nel 1870 gli abitanti salirono a 6995, nel 1890 a 7976 e nel 1900 a 8753.
Da allora, la crescita si bloccò e addirittura si verificò un lieve decremento (8566 abitanti nel 1920 e 8305 nel 1940), segno che l'emigrazione fuori Comune - prodotta dalla saturazione delle risorse territoriali (quasi esclusivamente agrarie) - aveva ormai completamente annullato il tradizionale saldo positivo del movimento naturale.
La leggera ripresa del 1951 (8512 abitanti) fu presto nuovamente annullata dalla crisi agraria (segnatamente mezzadrile) e dallo spopolamento delle campagne che si registrò pochi anni più tardi, con l'avvio del 'miracolo economico': gli abitanti scesero a 7716 nel 1961 e a 7149 nel 1971. Poi l'inversione di tendenza e l'aumento modesto, ma costante, che ha riportato la popolazione a 7311 nel 1981, a 7855 nel 1991, a 8083 nel 2001 e a 8841 nel 2011: un valore che rappresenta il tetto mai toccato neppure ai tempi della grande crescita tardo-ottocentesca.
Lo studioso che avrà la pazienza di conteggiare i dati censuari 1841 che riguardano una popolazione totale di 8268 persone - comprendendo anche il territorio che oltre ottanta anni dopo diverrà l'autonomo comune di Casciana Terme -, potrà sicuramente verificare, a Lari, l’alto valore dei maschi - e anche dei celibi - rispetto alle medie del Granducato (rispettivamente 51,2% e 59,5% del totale degli abitanti): tale esuberanza si spiega con il fatto che, con la mezzadria, si esercitava una speciale attenzione per non alterare l'equilibrio esistente fra la famiglia colonica e l'estensione del podere, che tra l'altro richiedeva molte braccia maschili, discriminando in tal senso le femmine, e poche bocche improduttive, in tal modo imponendo forme di celibato obbligatorio e di controllo delle nascite.
Altre differenze riguarderanno l'elevata incidenza degli appartenenti all'età produttiva rispetto al valore medio granducale (pari al 63%) e l’ampiezza del nucleo familiare superiore alla media toscana di 5,4 unità, perché le comunità rurali, come quella di Lari, erano popolate soprattutto da famiglie agricole (in larghissima misura mezzadrili, non di rado di dimensioni patriarcali) che abitualmente si presentavano più ricche di componenti rispetto a quelle attive negli altri settori economici (artigianato e industria, commercio e servizi). Le famiglie agricole non residenti su unità poderali, ovvero i nuclei bracciantili, disponevano invece di un numero molto inferiore di componenti.
C’è da rilevare che, riguardo alla definizione della popolazione attiva totale, le difficoltà sono rilevanti perché quasi sempre i parroci indicano solo la professione del capofamiglia, ciò che richiede necessariamente che tutti i componenti maschi in età da lavoro siano inseriti nella stessa condizione professionale del padre, a meno che non sia stata specificata una diversa attività. Incertezza ancora maggiore si incontra per le donne, delle quali - la grande maggioranza - non viene indicata alcuna professione, al di là del frequente "atta a casa". Di regola, gli studiosi considerano attive negli stessi settori le femmine appartenenti alle famiglie dei mezzadri e dei coltivatori diretti, anche se è noto che, almeno in parte, esse svolgevano lavori a domicilio di tipo artigianale nel settore tessile, le cosiddette "pluriattività domestiche", come filatura, tessitura e confezionamento dei panni di lana, di lino e canapa e di seta oppure l'intreccio della paglia, specialmente in funzione della costruzione dei cappelli.
Relativamente alla composizione statistica dei tre settori economico-professionali, basti sapere che nell'intero Granducato l'agricoltura dava lavoro al 47,9% delle famiglie, valore certamente molto superato a Lari.
La rilevazione offre anche una qualche conoscenza sul grado di istruzione. Nel Granducato, poco più del 20% della popolazione totale da 6 anni in poi era fornita di una qualche istruzione primaria, ed era quindi in grado di leggere e scrivere o soltanto di leggere, ma nelle campagne qui considerate la situazione era assai meno favorevole. Infatti, a Lari, salvo errori la situazione dovrebbe essere stata la grosso modo la seguente: popolazione analfabeta 86%; popolazione che sa leggere 3%; popolazione che sa leggere e scrivere 11%, quasi tutta concentrata nei centri abitati.
Leonardo Rombai