L'anno 1406 vide il primo passaggio di poteri nella zona delle colline pisane a favore dei fiorentini. La forma amministrativa del capitanato, con cui Lari e le zone limitrofe erano controllate, venne abolita e sostituita da Firenze con vicariati e podesterie. L'intero contado di Pisa fu distinto in tre grandi vicariati con sede a Vicopisano (per la zona della Valle del Serchio e il Valdarno), Palaia (per la Valdera) e Lari (zona delle colline).
Il XV secolo fu un periodo di scontri violenti che registrò numerose alternanze alla guida di Lari. Nel 1431 il castello fu occupato dalle truppe di Niccolò Piccinino, generale al soldo di Filippo Maria Visconti signore di Milano, per poi essere di nuovo conquistato dai fiorentini. Lo stesso accadde nel 1494 quando Pisa si ribellò nuovamente al giogo della città gigliata. Infine due anni dopo, il 30 giugno, i veneziani inviarono un esercito in aiuto dei pisani che attaccò il castello in piena notte. Di questo assalto, che avrebbe dovuto svolgersi di sorpresa (gli alleati credevano di dover combattere solo un centinaio di uomini), erano invece a conoscenza i fiorentini che aumentarono il numero degli uomini di guarnigione alla rocca. L'esito della battaglia è così riferito dall'Ammirato: "crudelissima battaglia, essendo eglino tra cavallo e a pié non meno di 4000 uomini, e trovato che la notte innanzi vi erano entrati [in Lari] 400 provvigionati: se ne partirono con morti e feriti di molti di loro; né mai si esercitò guerra con più rabbia e crudeltà tra molti di loro, né con maggior arte e inganni tra i principi che per questo".
Dopo tale scontro, Lari ed il suo vicariato restarono sotto il controllo del Granducato fino all'annessione al regno d'Italia. Il territorio controllato da Lari fu suddiviso in tre podesterie con sede a Palaia, Peccioli ed a Lari stesso. Nelle prime due terre era fisicamente presente un podestà, mentre nell'ultima era un unico individuo che vedeva ricadere sulle proprie spalle la duplice funzione di vicario e podestà: infatti un numero maggiore di incarichi corrispondeva ad un più alto compenso. Anche questo spiega il perché della presenza fra i vicari di Lari di molti membri delle famiglie notabili di Firenze come gli Albizi, Capponi, Guicciardini, Pitti, Salviati e Medici stessi. La sostanziale differenza fra le due cariche, oltre alla minore estensione del territorio di pertinenza, risiedeva nella riconosciuta autorità del vicario in campo penale sulle tre podesterie e civile limitatamente a quella di Lari. Gli altri due podestà diversamente, curavano soltanto la giustizia civile nella sede amministrativa e nei "comunelli" che ne facevano parte.
Entrambi gli uffici venivano affidati, almeno inizialmente, ad uomini di estrazione fiorentina; questi erano eletti dall'Ufficio delle Tratte per "imborsazione e tratta" (cioé per estrazione da una borsa), "per squittinio" (scrutinio di voti) o "per grazia del principe". Nello svolgimento dei suoi compiti, il vicario era affiancato da una "famiglia" composta da un cavaliere, un notaio e quattro "birri". Solo questi ultimi avevano un incarico che si protraeva oltre il semestre d'ufficio, mentre gli altri venivano rinnovati ad ogni cambio del vicario. Il cavaliere (anche detto giudice), aveva il compito di esaminare ogni processo, documentando per scritto le richieste delle parti avverse e motivare la scelta delle sentenze. Il notaio invece, era l'attuario del tribunale per le cause criminali, riceveva gli atti e faceva da assessore al vicario. Come accennato l'incarico vicarile era semestrale (solo alla fine del Settecento divenne annuale). A Lari si insediava il 26 settembre e il 25 marzo di ogni anno. Oltre alla funzione giuridica, rientravano fra i suoi compiti il controllo di polizia, la vigilanza sullo stato delle carceri, sulla macinazione dei grani, corrispondere con l'autorità centrale e verificare la riscossione dei tributi. Ovviamente anche sul suo operato veniva esercitato un controllo.
La piena autorità riguardo le cause criminali in realtà era solo apparente, erano gli stessi statuti a limitarla. In primo luogo, durante un interrogatorio era prassi obbligatoria chiedere al teste se fosse o meno cittadino fiorentino od un membro delle Bande granducali (una sorta di militare). In caso di risposta affermativa non avrebbe potuto portare avanti la causa se non dopo aver ricevuto il via a procedere da Firenze. In secondo luogo, la paga del vicario era divisa in tre tranche pagate alla fine di ogni bimestre, l'ultima delle quali veniva trattenuta finché non fosse stato assolto dai Sindaci della podesteria. Questi erano tre uomini che venivano eletti per imborsazione otto giorni prima della fine del mandato del vicario. Il loro ruolo consisteva nel far bandire nell'intero vicariato un'informativa, nella quale si avvertiva che chiunque avesse da lamentarsi sull'amministrazione della giustizia avrebbe dovuto rivolgersi a loro perorando la propria causa. Negli ultimi tre giorni di carica vicarile, le eventuali lagnanze venivano ascoltate e giudicate dai sindaci. Nella realtà dei fatti il vicario veniva quasi sempre assolto: era sufficiente che si proclamasse innocente e le accuse, spesso molto vaghe e di scarsa importanza, decadevano automaticamente.
Per maggiore protezione del giusdicente inoltre, i sindaci dovevano arrivare ad una sentenza necessariamente nei tre giorni previsti; scaduto questo termine, anche di fronte ad una sentenza di condanna, l'accusa decadeva. Se diversamente la gravità dei fatti era tale da meritare una punizione, l'ultima rata dello stipendio veniva trattenuta ed utilizzata per risarcire i danneggiati. Con la successiva annessione della Toscana all'impero francese, il 19 agosto 1808, vicariati e podesterie vennero aboliti. Restarono di pertinenza dei rettori locali solo le cause civili, mentre per il penale l'intero territorio fu posto sotto la competenza del Tribunale di prima istanza di Livorno. Dopo la restaurazione con legge del 27 giugno 1814, si ripristinarono le vecchie forme amministrative fino al 9 marzo 1848, quando furono definitivamente abolite.